Storie di streghe

Giovanna Bonanno, la vecchia dell’aceto

1788
Palermo
Il caso giudiziario di Giovanna Bonanno, nota in letteratura e negli studi come la vecchia dell’aceto, segna l’avvenuto definitivo crollo dell’idea di stregoneria che aveva attraversato tutta l’età moderna. In una Sicilia in cui il vicerè Domenico Caracciolo aveva abolito il tribunale dell’Inquisizione nel 1782 e in cui il suo successore Francesco d’Aquino principe di Caramanico ne portava avanti la politica illuminata, nel corso del 1788 scoppiava il caso di un’anziana donna che godeva di fama di maliarda e a cui erano ricondotte una serie di morti avvenute negli anni precedenti. Va specificato che l’imputata stessa rifiutava ogni attribuzione di poteri magici, come cercarono di non vederne i giudici chiamati a pronunciarsi nel suo processo. Nel corso dei nove mesi di procedimento e delle numerosissime testimonianze si scopriva una serie di sei uxoricidi compiuti da donne insoddisfatte o infelici nella loro condizione matrimoniale che per sbarazzarsi del marito (in un caso il marito della moglie) ricorsero ad un “arcano liquore” messo in commercio dalla Bonanno – nel più dei casi attraverso intermediarie. Il “liquore” o “aceto”, si sarebbe scoperto attraverso lo scrupoloso atteggiamento scientifico dei giudici, altro non era che un unguento prodotto da un locale farmacista contro i pidocchi, ma che assunto per via orale poteva risultare fatale, senza lasciare però segni di avvelenamento. La Bonanno finì condannata a morte, riconosciuta responsabile – per quanto indiretta – di tutte le morti, le sue complici e le uxoricide furono condannate a pene varie di reclusione. Il 30 luglio 1789 la vecchia dell’aceto – che non era una strega – veniva impiccata in piazza Vigliena (o piazza dei Quattro Canti) a Palermo.

Bibliografia:

Giovanna Fiume, La vecchia dell’aceto. La modernizzazione giudiziaria del reato di maleficio nella Palermo del tardo Settecento, in «Quaderni storici» 66/3 (1987), pp. 855-877

Anna Göldi

1782
Glarona, Svizzera
Anna Göldi fu l’ultima donna ad essere condannata a morte per stregoneria. La povera serva di una ricca famiglia di Glarona – capoluogo del Cantone che dalla città prende nome, nella Svizzera tedesca – fu accusata di aver stregato una bambina di casa, dandole da mangiare un pezzo di torta che le avrebbe fatto crescere nello stomaco spilli e corde in seguito rigurgitati. La famiglia aveva immediatamente cacciato Anna e lo stato di salute della bambina era peggiorato a tal punto da essere ritenuto evidente che la malìa era legata alla serva. Erano continuati i rigurgiti di spilli, monete, pezzi di filo, unghie e altro. A nulla erano valsi i rimedi per guarirla, se non che ogni afflizione era terminata quando la bambina era stata visitata proprio da Anna. Presa come definitiva conferma delle capacità stregonesche della serva, Anna fu arrestata e processata. Sotto tortura confermò l’avvelenamento della bambina. Il 13 giugno 1782 venne eseguita la pena capitale a cui era stata condannata, decapitazione, mentre il suo presunto complice, Rudolf Steinmüller, moriva suicida impiccandosi nel carcere.

Bibliografia:

Walter Hauser, Der Justizmord an Anna Göldi. Neue Recherchen zum letzten Hexenprozess in Europa, Zürich, Limmat, 2007

Caccia alle streghe di Salem

1692
Salem, Massachusetts
Nel piccolo villaggio rurale di Salem, nella contea di Essex nel Massachusetts, a poca distanza da Boston, nel principio del 1692 due ragazze, figlia e nipote del reverendo Samuel Parris, iniziarono a soffrire di convulsioni e apparizioni demoniache. Le manifestazioni furono associate ad alcuni esperimenti magici fatti dalle ragazze, come quello di divinare il futuro marito di una delle due guardando attraverso l’albume di un uovo versato nell’acqua – solo per vedervi apparire una bara. Visitate da un medico, la diagnosi era stata di maleficio. Gli attacchi di convulsioni si erano intanto allargati ad altre giovani e giovanissime. Iniziarono a comparire le prime accuse di stregoneria e rapidamente il caso si estese a coinvolgere oltre centocinquanta sospetti tra streghe e stregoni. Da tali accuse emergono le divisioni razziali e le tensioni sociali e religiose che caratterizzavano al tempo il territorio della colonia inglese sulla costa atlantica americana. Prima che venisse posto freno all’attività repressiva nell’ottobre 1692, diciannove individui erano stati impiccati come colpevoli e un ventesimo era stato ucciso in seguito al rifiuto di dichiararsi tale. Gli eventi di Salem sono stati resi celebri da libri e film, in particolare dall’opera teatrale Il crogiuolo (The Crucible, 1953) di Arthur Miller, in cui il caso di stregoneria era usato per denunciare il clima persecutorio contro la sinistra istigato nella politica americana dal senatore McCarthy.

Bibliografia:

Paul Boyer, Stephen Nissenbaum, La città indemoniata. Salem e le origini sociali di una caccia alle streghe, Torino, Einaudi, 1986

Processi dello stregone Jackl

1675-1690
Salisburgo, Impero
Nel corso dell’anno 1675 a Salisburgo – oggi in Austria, allora sede di un principato arcivescovile all’interno del complesso mosaico che costituiva l’Impero – venne arrestata la vagabonda Barbara Koller, sospettata di furto e di stregoneria. Nel corso del suo processo, che si concluse con la condanna al rogo messa in atto nell’agosto dello stesso anno, la donna confessò che il figlio ventenne Jacob (poi noto come Jackl) aveva stretto un patto con il demonio. Le autorità salisburghesi avviavano così una spietata caccia all’uomo che si sarebbe protratta per i successivi quindici anni, senza tuttavia riuscire mai a mettere le mani sul presunto stregone. Eppure le indagini parvero dare i propri frutti: tra il 1675 e il 1690 centotrentanove vittime furono giustiziate in processi legati a quella che parve prendere forma come la setta dello stregone Jackl. I sospettati e i giustiziati provenivano pressoché tutti dal mondo dei vagabondi e degli accattoni. Diversamente dalla maggioranza delle cacce alle streghe di età moderna, prevalsero le vittime maschili. Moltissimi furono i condannati tra i giovani e i giovanissimi: più della metà non aveva superato i ventuno anni, a partire dal più giovane dei giustiziati, un bambino di appena dieci anni.

Bibliografia:

Gerald Moelleder, Salzburg, Prince-Archbishopric of, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. Richard M. Golden, 4 voll., Santa Barbara, ABC-CLIO, 2006, pp. 1000-1001

Oriana Bari di Pienza

1646-1650
Siena, Granducato di Toscana
La bella Oriana di Girolamo Bari nacque a Pienza verso la fine del primo decennio del Seicento. Appena adolescente si spostò a Siena e contrasse un primo matrimonio con un uomo di oltre sessant’anni: un matrimonio forse congegnato dall’amante, il canonico della cattedrale Alberto Luti, che per aver modo di incontrarla spesso e in privato ordì anche la trama della possessione demoniaca di cui la ragazza avrebbe sofferto. L’esorcismo ebbe la duplice funzione di accrescere la notorietà della giovane di umili origini e di permettere ai due amanti di vedersi lontano da occhi indiscreti. Una decina d’anni più tardi – e dopo aver suscitato non pochi sospetti – rimasta vedova, Oriana riuscì a sposare segretamente il nobile Giulio Salvi, suscitando l’ira della casata di quest’ultimo. Rimasta vedova anche del secondo marito nel 1636, Oriana dovette reinventarsi ancora una volta. A quel punto riusciva a cavarsela tra truffe e raggiri, mettendo a frutto quanto appreso negli anni di frequentazione di ecclesiastici e case nobili: l’abilità di leggere e qualche nozione di cultura la elevavano notevolmente rispetto al popolo minuto presso cui operava, dedicandosi a misteriose cure di fantomatiche malattie e alla previsione del futuro e, soprattutto, divenendo nota per la capacità – ricorrendo all’aiuto di un demone – di scovare tesori nascosti al disotto delle cantine di alcune abitazioni senesi. Fu così che finì di fronte al tribunale inquisitoriale. Le ultime notizie sul suo conto vengono dalla Congregazione del Sant’Uffizio, che ordinava al tribunale senese di sottoporla a tortura e poi, a seguito dell’abiura, condannarla a un periodo di reclusione idoneo.

Bibliografia:

Oscar Di Simplicio, Autunno della stregoneria. Maleficio e magia nell’Italia moderna, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 279-294

Possessione delle suore di Loudun

1632-1634
Loudun, Francia
Nel corso dell’anno 1632 le suore orsoline di Loudun, nella Francia centroccidentale, iniziarono ad accusare strane esperienze demoniache. Non si trattò di un caso isolato, ma fu preceduto da uno simile avvenuto ad Aix-en-Provence e seguito da altri due occorsi a Louviers e Auxonne, per citare i più noti. Tuttavia, il caso di Loudun era destinato a rimanere il più celebre e anche tra i contemporanei riscosse grandissima eco. La responsabilità delle possessioni demoniache delle suore fu attribuita a un parroco locale, Urbain Grandier, che si trovava nel borgo dal 1617 e che aveva sulle spalle un passato di intemperanze sessuali che gli erano costate scomode inimicizie. Individuato come colpevole nel corso degli esorcismi a cui venivano sottoposte le suore, Grandier fu arrestato, processato e infine riconosciuto colpevole di stregoneria. Il 18 agosto 1634 veniva bruciato sul rogo.

Bibliografia:

Michel de Certeau, La possessione di Loudun, Bologna, CLUEB, 2011

Margherita Roera

1634
Torino, Ducato di Savoia
Tratto caratteristico della politica di alcuni grandi regni europei nel XVII secolo fu l’ascesa di ministri favoriti a cui i sovrani concessero ampi poteri trasferendo a loro, di fatto, la propria autorità assoluta di governo. Fu così nell’Inghilterra di Giacomo I con Georges Villiers duca di Buckingham, così come in Spagna e Francia, dove si susseguirono rispettivamente il duca di Lerma e il conte-duca d’Olivares (con Filippo III e Filippo IV) e Richelieu e Giulio Mazzarino (durante la reggenza di Maria de’ Medici e il regno di Luigi XIII il primo, durante la minorità di Luigi XIV il secondo). Non mancarono le critiche a questi ministri plenipotenziari, quasi sempre accusati di corruzione, talvolta anche di stregoneria, sospettati di aver ammaliato i sovrani che tanto li avvantaggiavano. Ciò accadde anche in Italia, nel ducato di Savoia governato da Vittorio Amedeo I. Nell’estate del 1634, la nobile decaduta Margherita Roera diede segni di possessione demoniaca. Dell’esorcismo si occuparono i domenicani Pietro Antonio Ballada – zio della donna – e Girolamo Rebiolo, inquisitore di Torino. Fu allora che Lucifero in persona cominciò a rivelare, per bocca di Margherita, che il favorito del duca, Lelio Cauda conte di Balangero, aveva firmato un patto con il diavolo per soggiogare il sovrano al proprio volere. Quando l’inquisitore torinese si apprestava ad aprire un processo contro il conte di Balangero, l’intervento personale di Vittorio Amedeo I smascherava la messinscena e veniva svelato il complotto contro Lelio Cauda architettato da alcuni suoi nemici.

Bibliografia:

Vincenzo Lavenia, «Cauda tu seras pendu». Lotta politica ed esorcismo nel Piemonte di Vittorio Amedeo I (1634), in «Studi storici» 37/2 (1996), pp. 541-591

Caterina de’ Medici

1616-1617
Milano
Quello di Caterina de’ Medici di Broni si potrebbe facilmente dire il caso di stregoneria più celebre d’Italia. Citata negli scritti storici di Pietro Verri e Cesare Cantù, accennata nei Promessi sposi, romanzata prima da Achille Mauri nell’Ottocento e poi in tempi più recenti da Leonardo Sciascia, la triste vicenda di Caterina de’ Medici è stata più volte raccontata. Nata a Broni, nell’Oltrepò pavese, la ragazza vide la sua vita segnata da un evento, uno stupro subito in età giovanissima, che ne plasmò inevitabilmente il futuro. In una società che non conosceva rimedio per una macchia di tal sorta, sposò, evidentemente per rimediare, ad appena quattordici anni un uomo violento, che prese l’abitudine di percuoterla e la costrinse a prostituirsi. Fuggita dopo sei anni al matrimonio, fu costretta a barcamenarsi come possibile per procacciarsi da vivere, servendo per periodi più o meno brevi nelle case di professionisti e nobili, talvolta riuscendo a migliorare la propria condizione trasformandosi in concubina del padrone. È come serva che nell’agosto del 1616 entrò nella casa della nobile famiglia milanese dei Melzi. Caduto malato di una misteriosa afflizione il capo famiglia, il senatore Luigi Melzi, la causa della malattia fu presto trovata nella serva. Interrogata in più occasioni dal capitano di giustizia, Caterina confessò le proprie abilità stregonesche e il rapporto che intratteneva con il demonio. Dopo oltre tre mesi di processo, veniva condannata a morte e il 4 marzo 1617 si dava esecuzione alla sentenza in piazza della Vetra con insolita crudeltà: Caterina veniva prima torturata con delle tenaglie, quindi strangolata e, infine, il suo corpo esanime era bruciato sul rogo.

Bibliografia:

Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, Processo per stregoneria a Caterina de' Medici, 1616-1617, Milano, Rusconi, 1989

Katharina Kepler

1615-1621
Leonberg e Güglingen, Württemberg
Nel 1615, Margaretha Kepler scriveva al fratello Johann (meglio noto come Giovanni Keplero) astronomo imperiale e docente dell’università di Linz per informarlo delle accuse di stregoneria che alcuni vicini avevano mosso contro la madre nel piccolo borgo di Leonberg, dove la famiglia si era da tempo stabilita. Dopo svariati tentativi di Giovanni e dei suoi fratelli di sottrarre la madre alle accuse, vista la perseveranza e l’insistenza degli accusatori, nonché alcune simpatie di cui godevano tra le autorità locali (o antipatie riscosse da Katharina), la donna fu eventualmente imprigionata e posta sotto processo nel luglio 1620, per volere del consiglio aulico del Württemberg. Ne seguì un lungo procedimento, che coinvolse anche gli esperti legisti dell’università di Tubinga. Nell’ottobre del 1621 il duca Giovanni Federico di Württemberg assolveva Katharina dalle accuse, dopo oltre un anno di prigionia. Non molti mesi dopo la donna moriva, nell’aprile del 1622.

Bibliografia:

Ulinka Rublack, The Astronomer and the Witch. Johannes Kepler’s Fight for his Mother, Oxford, Oxford University Press, 2015

Caccia alle streghe nei Paesi Baschi

1609-1610
Francia e Spagna
I Paesi Baschi si estendono tra i Pirenei e la costa atlantica, a cavallo del confine tra Francia e Spagna. Nel principio del XVII secolo furono teatro di una delle più violente cacce alle streghe di entrambi i paesi, guidata dal giudice del Pays de Labourd (cioè del versante francese dei Paesi Baschi) Pierre de Lancre che, avviata la propria indagine nei borghi montani nel 1609, si convinse della diffusa presenza di streghe malefiche nella regione, condannandone tantissime al rogo – si arrivò ad affermare che avesse collezionato fino a seicento vittime, ma una stima più accurata non arriva al centinaio. Presto l’attività del giudice francese valicò i Pirenei, diffondendo l’idea dell’attività stregonesca in particolare nei borghi di Zugarramurdi e Urdax. Anche in Spagna, come in Francia, furono avviati i processi contro le presunte streghe e i presunti stregoni e nel corso del 1610 iniziarono ad accendersi anche i primi roghi a Logroño, sede locale dell’Inquisizione. Le alte autorità del tribunale religioso spagnolo, tuttavia, preoccupate dal dilagare delle accuse inviarono il frate Alonso de Salazar Frías a presiedere alle indagini. Questi, scettico dell’atteggiamento persecutorio, iniziò a rivedere le procedure, ottenendo nell’immediato la fine dei procedimenti e, nel lungo termine, un atteggiamento generalmente guardingo da parte dell’Inquisizione spagnola nei confronti delle accuse di stregoneria. È esemplare dello scetticismo di Alonso de Salazar la sua affermazione, secondo la quale nei territori visitati “non esistevano né streghe né stregati finché non si cominciò a parlarne e a scriverne”.

Bibliografia:

Gustav Henningsen, L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione Spagnola, Milano, Garzanti, 1990; Lu Ann Homza, Village Infernos and Witches’ Advocates. Witch-Hunting in Navarre, 1608-1614, University Park, Penn State University Press, 2022

Gostanza da Libbiano

1594
San Miniato, Granducato di Toscana
Sul principio del novembre 1594, il vicario del vescovo di Lucca si recava a Lari, oltre Pisa, ma nel territorio della propria diocesi, per interrogare alcuni testimoni sull’attività di una presunta strega. La sospettata era una vedova tra la cinquantina e la sessantina di nome Gostanza che di recente si era spostata da Ghizzano di Volterra a Libbiano (onde il toponimo con cui era identificata) e quindi nella vicina località di Bagno. In pochi giorni la donna venne arrestata e portata a San Miniato, dove il vicario inquisitoriale fra Mario Porcacchi aprì il processo contro di lei. Dopo qualche iniziale resistenza, l’ampio ricorso alla tortura della corda – che consisteva nel sollevare il tormentato per le braccia legate ad una corda e, eventualmente, accrescerne le sofferenze con strattoni – a cui Gostanza fu sottoposta portò alla confessione di più malefatte. Descriveva gli incontri notturni con il demonio, i rituali e le pratiche sacrileghe a cui si era abbandonata, il modo in cui, mutata in gatto, succhiava il sangue dall’ombelico dei bambini, il rapporto con un demone personale di nome Polletto. Interveniva personalmente nel procedimento anche l’inquisitore di Firenze, fra Dionigi da Costacciaro, scettico sui racconti di stregherie dell’imputata. Sentita da questo giudice, emergeva a quel punto una storia differente: Gostanza ammetteva di aver detto quanto aveva confessato per effetto della tortura e per timore di doverne subire ancora. Confessava soltanto di essere dedita ad alcune pratiche di medicina popolare. Il processo si concludeva così prima della fine del mese e Gostanza veniva bandita dal territorio della diocesi di Lucca, con l’obbligo di non praticare più la sua “medicina”. Il suo caso è stato reso in un film di Paolo Benvenuti del 2000.

Bibliografia:

Gostanza, la strega di San Miniato. Processo a una guaritrice nella Toscana medicea, ed. Franco Cardini, postfazione di Adriano Prosperi, Roma-Bari, Laterza, 1989

Anna Pedersdotter

1590
Bergen, Norvegia
Si può dire che quello di Anna Pedersdotter è il processo per stregoneria più noto per l’Europa settentrionale. Nativa di Trondheim, tra le grandi città più a nord della penisola scandinava, la donna si stabilì a Bergen, dove il marito di origine danese Absalon Pedersen Beyer era pastore luterano. Va ricordato che all’epoca la Norvegia era politicamente unita alla corona di Danimarca. Le prime accuse di stregoneria contro Anna giunsero probabilmente come pretesto nell’ambito dello scontro tra pastori luterani e mercanti di Bergen che crebbe di livello attorno alla metà degli anni Settanta del sedicesimo secolo. Furono i mercanti in contrasto con il marito, dunque, a instillare i primi sospetti di stregoneria nei confronti di Anna. Da questa prima accusa, però, la donna ottenne un’assoluzione, confermata anche da rescritto del re di Danimarca. Rimasta vedova, a quindici anni dalle prime accuse, i sospetti che la donna fosse dedita alla magia malefica riemersero. Questa volta ad accusarla erano numerosi vicini, che denunciavano i presunti effetti sulla salute propria e dei propri cari dovuti ai malefici attribuiti alla donna. La serva di Anna, inoltre, aggiungeva alle accuse diversi elementi dello stereotipo caratteristico del Sabba, testimoniando di essere stata portata dalla padrona alle diaboliche riunioni notturne e svelando i malvagi piani di distruggere la città di Bergen che si discutevano nel corso di quelle riunioni. Nonostante alcune testimonianze raccolte a proprio favore, Anna Pedersdotter fu condannata al rogo. L’esecuzione fu messa in atto il 7 aprile 1590.

Bibliografia:

Brian P. Levack, Pedersdotter, Anna, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. Richard M. Golden, 4 voll., Santa Barbara, ABC-CLIO, 2006, pp. 887-888

Dietrich Flade

1589
Treviri, Impero
Nativo di Treviri, il giurista Dietrich Flade fece una rapida carriera nella propria città al servizio dei principi vescovi – elettori dell’impero – che governavano città e diocesi, accumulando rilevanza nell’amministrazione oltre che ricchezze. Quando, a partire dal 1580, una serie di calamità e carestie causarono una crisi di sussistenza a città e contado, iniziarono ad arrivare nelle corti giudiziarie locali accuse contro presunte streghe, ritenute responsabili di maltempo e cattivi raccolti. Le resistenze ad avvalorare le accuse messe in atto dall’autorità giudiziaria, di cui Flade era a capo, portarono in breve ad identificare in quest’ultimo il capo della setta stregonesca. Nel 1587 l’arcivescovo di Treviri acconsentì ad aprire un procedimento contro Flade. Dopo vari tentativi di evitare il processo, nell’aprile 1589 venne arrestato ed eventualmente cedette alla tortura, confessando la propria partecipazione all’attività stregonesca. Il 18 settembre dello stesso anno veniva strangolato e il corpo bruciato sul rogo. Il suo caso è particolarmente celebre perché suscitò una forte reazione tra gli osservatori contemporanei. Inoltre, si conserva per intero la documentazione giudiziaria.

Bibliografia:

Rita Voltmer, Flade, Dietrich (1534-1589), in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. Richard M. Golden, 4 voll., Santa Barbara, ABC-CLIO, 2006, I, pp. 378-379

Il processo Elsa Plainacher

1583
Vienna, Impero
Dopo alcuni tentativi falliti di curare le misteriose convulsioni che colpivano la sedicenne Anna Schlutterbauer – prima presso i monaci benedettini di Sankt Pölten, poi presso il santuario mariano di Mariazell, nota meta di pellegrinaggi – la ragazza fu portata all’ospedale di Vienna. Il fenomeno attrasse presto l’attenzione sia del vescovo del capoluogo, sia dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo. Fu il gesuita tirolese Georg Scherer a guarire la giovane Anna, riuscendo a esorcizzare un incredibile quantità di demoni che ne affliggevano il corpo: ben 12652! Risanata, Anna accusò l’anziana nonna e tutrice Elsa Plainacher di essere stata la causa della propria possessione. Rimasta orfana, ancora una bambina – diceva – la nonna l’aveva ceduta al diavolo. Si aprì così il procedimento contro Elsa Plainacher, la quale, sottoposta a tortura, confessò questo e molto altro, tra cui l’omicidio del proprio marito e dei figli premortigli. Nel settembre 1583 la donna fu bruciata al rogo. La vicenda sua e della nipote – che fu posta in convento – ebbe grandissima eco tra i contemporanei, usata nella propaganda cattolica come esempio del potere della Chiesa contro il demonio.

Bibliografia:

Edmund M. Kern, Vienna, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. Richard M. Golden, 4 voll., Santa Barbara, ABC-CLIO, 2006, pp. 1168-1169

La caccia alle streghe di Wiesensteig

1562-1563
Wiesensteig, Impero
Si calcola che tra i secoli sedicesimo e diciottesimo le città e gli stati germanofoni misero assieme un numero di condanne a morte per stregoneria pari a un terzo di tutte quelle registrate in Europa. Il primo episodio di caccia alle streghe in questi territori, in larghissima parte al tempo inclusi sotto il dominio dell’Impero, si registrò nella piccola Wiesensteig, poco distante da Stoccarda, oggi nello stato del Baden-Württemberg, allora capoluogo dell’altrettanto piccolo stato feudale della famiglia Helfenstein. A far da premessa all’esplosione di sospetto e terrore nei confronti di una presunta setta stregonesca furono da una parte rovinosi eventi climatici (grandine) che misero a dura prova l’agricoltura, dall’altra le tensioni religiose che si registravano nello stato e nei suoi dintorni. Divenuto da cattolico luterano dopo la pace di Augusta del 1555, il piccolo stato cominciava a registrare una crescente presenza anche della confessione calvinista. Inoltre, nell’estate del 1562, nella vicina Esslingen, era stata scoperta un grande riunione di anabattisti. Furono questi eventi ad accendere la miccia che fece esplodere il panico in città. Ad alimentare il fuoco, poi, ci pensò il conte Ulrico di Helfenstein, convinto dell’esistenza di una setta stregonesca intenta a macchinare modi diabolici per rovinare i propri sudditi. Fu così che si aprì un processo di massa che in breve si concluse con la condanna a morte di oltre sessanta individui tra uomini e donne.

Bibliografia:

Gary K. Waite, Wiesensteig, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. Richard M. Golden, 4 voll., Santa Barbara, ABC-CLIO, 2006, pp. 1196-1197

La setta stregonesca di Mirandola

1522-1523
Ducato di Mirandola
Nel piccolissimo stato feudale dei Pico circolava la voce che nel contado, lungo le rive del fiume Secchia, si riunissero di notte grandi folle di persone per dedicarsi a riti misteriosi e sinistri. La notizia attirò l’attenzione del locale incaricato inquisitoriale, Girolamo Armellini da Faenza, nonché del dotto conte – sotto il cui controllo ricadeva solo una parte del feudo, vista l’ennesima disputa ereditaria – Giovan Francesco Pico, nipote del celebre umanista Giovanni Pico. Ne seguì una persecuzione su ampia scala che in breve coinvolse una settantina di persone, di cui almeno dieci finirono con l’essere condannate a morte, sette uomini e tre donne. Il caso suscitò anche il contrasto con il vicino duca di Mantova, tutore della parte di feudo passata al nipote di Giovan Francesco, Galeotto, ancora minore. Perduta la documentazione inquisitoriale, il processo che fu condotto contro gli stregoni e le streghe di Mirandola è noto principalmente attraverso l’opera latina che nell’immediato ne trasse proprio il conte Giovan Francesco Pico. Opera che fu presto anche tradotta in italiano per opera di un altro inquisitore coinvolto nel caso, il bolognese Leandro Alberti.

Bibliografia:

Giovan Francesco Pico della Mirandola, Strega o delle illusioni del demonio nel volgarizzamento di Leandro Alberti, ed. Albano Biondi, Venezia, Marsilio, 1989

Le streghe di Riffredo e Gambasca

1495
Marchesato di Saluzzo
Nell’autunno del 1495, l’inquisitore domenicano Vito dei Beggiami fu chiamato nei borghi di Riffredo e Gambasca, nell’Alta valle del Po, a monte di Saluzzo. L’indagine, inizialmente circoscritta contro una sola imputata, aveva presto svelato l’attività di una sette stregonesca a cui partecipavano almeno nove donne, quasi tutte vedove e poverissime, a cui erano imputati diversi misfatti. Nel corso degli interrogatori, le donne avevano raccontato al giudice i propri incontri notturni con i diavoli personali di ciascuna, i rapporti sessuali demoniaci, le danze e i rituali sacrileghi e i modi in cui potevano nuocere ad altre persone. La ricca documentazione che permette di seguire la vicenda nel dettaglio non ci informa con certezza circa il suo esito: anche se è probabile che le donne venissero giudicate meritevoli della condanna al rogo – e una traccia di tale condanna parrebbe potersi trovare – non possiamo essere sicuri che così andasse a finire.

Bibliografia:

Grado Giovanni Merlo, Streghe, Bologna, Il Mulino, 2006

I processi di Innsbruck e il Malleus Maleficarum

1485-1486
(Innsbruck, Tirolo
Lasciando l’Italia forte di una bolla papale datata 5 dicembre 1484, che come d’uso prende il titolo dalle parole con cui si apre (Summis desiderantes affectibus), l’inquisitore domenicano Henrich Kramer (anche noto col nome latino Institor) giungeva a Innsburck nel corso dell’estate successiva. Il documento firmato da papa Innocenzo VIII gli affidava l’incarico di perseguire le streghe di cui – l’inquisitore stesso aveva riferito – erano infestati i territori germanofoni meridionali. Nella città tirolese metteva in atto quanto commessogli dal pontefice e avviava un’ampia e violenta caccia alle streghe con ampio ricorso alla tortura al fine di ottenere le confessioni degli individui sospettati. Il vescovo di Bressanone Georg Golser, sotto la cui autorità ricadeva anche la città di Innsbruck, si oppose all’attività inquisitoriale di Kramer, così come fece l’autorità laica, nella persona dell’arciduca Sigismondo d’Asburgo. Gli interventi di vescovo e arciduca misero fine alla persecuzione avviata da Kramer, tuttavia, dall’esperienza di Innsbruck il frate domenicano trasse il materiale con cui compose il celebre Malleus maleficarum, il Martello delle streghe, il manuale per i giudici incaricati di perseguire la stregoneria che avrebbe fatto scuola e sarebbe stato alla base della persecuzione della stregoneria per i secoli a seguire. Il libro fu completato nel 1486 e stampato per la prima volta l’anno seguente.

Bibliografia:

Edmund M. Kern, Innsbruck, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. Richard M. Golden, 4 voll., Santa Barbara, ABC-CLIO, 2006, I, pp. 552-553

La creazione del Sabba

1430ca – 1450ca
Alpi francofone
Una serie di testi, scritti tra la fine del terzo decennio e la metà del XV secolo, con riferimento a diversi luoghi dell’area dell’arco alpino oggi divisa tra Svizzera occidentale (i cantoni di Berna, di Vaud e Vallese) e Francia (Delfinato), ivi compresa anche la Valle d’Aosta, definiscono per la prima volta con sorprendente coerenza e omogeneità le caratteristiche dello stereotipo del Sabba stregonesco, il misterioso e spaventoso rituale che avrebbe caratterizzato di lì in avanti la storia della cacca alle streghe. I testi comprendono resoconti di attività giudiziaria contro la stregoneria, come il trattato dell’inquisitore Claude Tholosan e gli Errores gazariorum attribuiti a Ponce Feugeyron, e opere di più vasta portata, come lo scritto del domenicano Johannes Nider, pubblicato sotto il titolo di Formicarius: una raccolta di notizie su più argomenti sollecitata dall’affluenza a Basilea di un gran numero di prelati da più parti d’Europa per il concilio aperto nel 1431. Non si tratta delle testimonianze in assoluto più antiche dello stereotipo, ma di un gruppo consistente e coerente di scritti che ne attesta la definitiva affermazione.

Bibliografia:

L’imaginaire du sabbat. Édition critique des textes les plus anciens (1430c.-1440), ed. Martine Ostorero, Agostino Paravicini Bagliani, Kathrin Utz Tremp, Catherine Chène, Lausanne, Université de Lausanne, 1999.

Alice Kyteler

1324
Kilkenny, Irlanda
Il più antico processo per stregoneria e magia diabolica ad esserci noto è quello contro la nobildonna irlandese Alice Kyteler di Kilkenny, nell’entroterra meridionale dell’isola. Rimasta per tre volte vedova in circostanze misteriose, quando anche il quarto marito, John le Poer, cadde malato, venne accusata dai figli di primo letto di questi, che temevano di vedersi sfuggire l’eredità paterna, di essere una strega. Su incarico di papa Giovanni XXII, nel 1324 il vescovo di Ossory Richard Ledrede condusse un’indagine, in cui accusò cinque donne – tra cui Alice – di aver abiurato la fede cristiana, aver venerato il demonio e aver praticato la magia con il suo aiuto. In particolare, la nobildonna era accusata di tenere presso di sé un demone, che le appariva sotto forma di gatto o di cane, in ogni caso di colore nero, oppure sotto le sembianze umane di un moro etiope. Grazie alla protezione da parte dei familiari in Irlanda e alla propria posizione sociale, Alice poté sfuggire la condanna, addirittura riuscendo a far imprigionare il vescovo Ledrede. Tornato in libertà quest’ultimo riprese il procedimento, ma ormai Alice era lontana, avendo trovato riparo in Inghilterra. Meno fortunata fu la sua serva Petronilla de Meath, che finì i propri giorni sul rogo a Kilkenny.

Bibliografia:

The Sorcery Trial of Alice Kyteler. A Contemporary Account (1324) Together with Related Documents in English Translation, with Introduction and Notes, ed. L. S. Davidson, J. O. Ward Binghampton, Medieval and Renaissance Texts and Studies, 1993.